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Backstage

“Ho deciso di partire senza un tour organizzato perché mi piace perdermi. Mi piace affrontare gli imprevisti. E soprattutto mi piacciono gli incontri casuali con le persone del posto.”

Prima di partire abbiamo fissato la data di ritorno e alcune interviste. Nient'altro: nessun itinerario, nessun volo interno, nessun albergo (eccetto per le prime due notti). Alla fine ci siamo spostati in treno e in autobus, usando i taxi solo per gli spostamenti più lunghi all’interno delle città. All’occorrenza, senza nemmeno bisogno di chiedere, abbiamo sempre trovato qualcuno che ci desse una mano a sollevare Federico e la sedia, oppure che si caricasse Federico in spalla per farlo salire, ad esempio, sull’autobus.

Non abbiamo quasi mai prenotato gli alberghi in anticipo, soprattutto dopo aver appurato che spesso venivano contrassegnati come accessibili anche alberghi con quattro piani di scale senza ascensore.

Ma in generale non abbiamo mai avuto troppe difficoltà a trovare un albergo economico con un ascensore e una stanza con bagno in cui Federico riuscisse a entrare. Detto questo, il viaggio di Federico è stato reso possibile anche da diversi ausili più o meno ‘tecnici’.

“Io stesso  li ho conosciuti grazie ad amici o conoscenti, disabili e non. E ora mi piacerebbe ‘restituire il favore’, ad altri”

“La meta è partire”

Il viaggio di Federico è iniziato in qualche modo con e grazie all’handbike, quando aveva 19 anni. Sudafrica, Australia, Emirati Arabi, Libano: le prime gare internazionali gli hanno permesso non solo di confrontarsi in modo diverso con la disabilità, ma anche di girare il mondo. E c’è un episodio che racconta spesso:

“Tornavo da Perth, dove avevo partecipato ad un circuito di gare australiane. Ero il più giovane, avevo 20 anni. Al ritorno sono andato in aeroporto insieme ad altri due atleti. Ovviamente eravamo tutti senza accompagnatore e loro non hanno voluto nemmeno richiedere l’assistenza in aeroporto. Stavamo andando verso il gate e c’era una scala mobile. Si sono aggrappati al corrimano e tenendosi in equilibrio con la sedia sui gradini hanno iniziato a salire. E io, beh, non ero capace: non lo avevo ancora imparato. Ci ho provato, ma ho urtato qualcosa e la scala mobile si è bloccata. Con loro in bilico a metà della rampa. Non si sono nemmeno girati a guardare: il primo dei due — che aveva le gambe amputate — è sceso dalla sedia, se l’è caricata in spalla e camminando sui monconi è arrivato in cima. E l’altro — paraplegico — ha fatto lo stesso, tirandosi su a forza di braccia. Morale? Andare avanti. Sempre.”

Dallo sport ai viaggi

“Quando sono andato a Cuba, la molla che mi ha spinto è che se avessi continuato a rimandare sarebbe diventato un rimpianto, non sarei stato più in grado di partire a causa delle mie condizioni fisiche in continuo peggioramento. Non sapevo esattamente quali problemi avrei incontrato, ma in fondo non era tanto diverso da affrontare una gara in pista. Ero comunque padrone della mia scelta: pedalare o fermarmi.”

E come cambiano le condizioni e le esigenze cambiano anche gli ausili.

“A Cuba non avevo il ruotino elettrico (non sapevo nemmeno che esistesse), ma una piccola ruota che si attacca davanti alla sedia e facilita lo spostamento su terreno sconnesso. Insomma, mi spingevo a forza di braccia. Era estenuante. In sei ore giravo a malapena un quartiere. Quando sono tornato, ho ricevuto una mail: era un amante dei viaggi, anche lui disabile. Non ci conoscevamo personalmente, ma mi scriveva che aveva saputo del mio viaggio e si era finalmente convinto a fare i biglietti per Cuba. Al suo ritorno, per ringraziarmi mi ha regalato l’ausilio a trazione elettrica, simile a quello che uso adesso io, che la sua azienda produce”

E quello sugli ausili, a sentire Federico, è uno scambio continuo, un procedimento per tentativi in cui c’è sempre da imparare.

“In Vietnam ho visto una donna, che non poteva camminare, usare due piccoli sgabelli per spostarsi, evitando così di trascinarsi per terra. Quando ero da solo, a Manila, nella casa in cui stavo la sedia non passava dalla porta del bagno: mi sono ricordato di quella donna e mi sono fatto prestare due sgabelli”

Strade sconnesse, nessun timore

Il ruotino è un ausilio che si monta davanti alla sedia e che permette a Federico di girare per ore e per chilometri per le strade di città che di accessibile hanno ben poco. Con nessuno o al massimo con un aiuto minimo, Federico sale e scende da gradini e marciapiedi, costantemente affiancato dai numerosi motorini che qui passano ed entrano dappertutto, negozi e hall degli alberghi inclusi. Il che per noi è un bene, perché significa che molti negozi hanno rampe ausiliarie di cui Federico approfitta spesso. La comodità aggiuntiva è che il ruotino si sgancia facilmente dalla sedia, cosa che ci facciamo spesso per entrare in un bar o per salire su un taxi.

In treno, in autobus, in taxi. E in barca

In treno facciamo quasi 2mila chilometri, da Ho Chi Minh City ad Hanoi. Ne prendiamo cinque, per tratte di solito tra le sei e le otto ore. Non superiamo mai le otto ore di fila perché ovviamente il bagno non è accessibile (ed è comunque sconsigliabile anche ai normodotati).

La sedia inoltre non passa attraverso il corridoio, così chiediamo sempre i posti più vicini alla porta. Da Ho Chi Minh City a Nha Trang la prima sorpresa: la banchina del treno (che alla stazione di Ho Chi Minh è a livello del vagone) alla stazione di arrivo è due metri più in basso. Con l’aiuto di altre due persone riusciamo però, senza grandi difficoltà, a sollevare la sedia e a far scendere Federico. E lo stesso facciamo le volte successive, sia per scendere che per salire. Con qualche incertezza, decidiamo di tentare anche la barca. Due volte. È infatti l’unico modo per visitare sia i mercati galleggianti del delta del Mekong sia la baia di Ha Long. In entrambe i casi è stato più facile del previsto.

E se il bagno non è accessibile?

Buona parte del peso iniziale dello zaino di Federico è costituito dai pacchi di salviette per potersi lavare anche quando è impossibile entrare nella doccia. Si tratta in realtà di dispositivi sanitari pensati per l’igiene dei malati costretti a letto. Ed è una soluzione che a Federico è venuta in mente a Cuba. Altrove, dove il bagno è più accessibile, c’è un’altro ‘trucco’: una maniglia a ventosa, che aderisce alle superfici lisce e sostiene fino a 150 chili di peso. Federico la usa non solo per gli spostamenti in bagno, ma anche per alzarsi dal letto. L’ha soprannominata “la mano de Dios”, perché —  assicura — lo ha già salvato in extremis in almeno un paio di occasioni.

Fotografare. A mano libera

Federico ha studiato comunicazione visiva. Per lui la fotografia è sempre stata una passione. Ma in viaggio, con le mani occupate a guidare il ruotino o a spingere la sedia, scattare non è semplice. Prima di partire per Cuba, ha fatto un po’ di ricerche e ha scoperto una piccola fotocamera adatta alle sue esigenze. Grande la metà di un cellulare, si appende al collo e scatta in automatico, in base a cambiamenti di movimento, luce e posizione. Il risultato sono centinaia di scatti da una prospettiva molto personale, uno spaccato in prima persona di un viaggio, di un passaggio attraverso un paese.